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Espulsione dal corso di medicina generale 2012/15 – Esistenza di una situazione di incompatibilità con turni di guardia medica  

Consiglio di Stato Sent. n. 2171/17 – Espulsione dal corso di medicina generale 2012/15 – Esistenza di una situazione di incompatibilità – Recupero somme borse di studio – Deve ritenersi legittimo l’art. 11 del D.M. del Ministero della Salute del 7 marzo 2006 nella misura in cui, valorizzando debitamente la ratio dell’art. 24 del d. lgs. n. 368 del 1999 e il significato della frequentazione a tempo pieno dei corsisti, inibisce al medico in formazione l’esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo ed esclude altresì, durante la frequenza del corso, la contemporanea iscrizione o frequenza a corsi di specializzazione o dottorati di ricerca, anche qualora si consegua tale stato successivamente all’inizio del corso di formazione specifica in medicina generale. Pertanto  l’espulsione del Dott. G. non appare misura inappropriata, ma del tutto adeguata alla violazione di un fondamentale obbligo posto a carico dei corsisti, che ben ne conoscono il fondamento, il contenuto e soprattutto la irrimediabile sanzione, in termini di espulsione, a fronte della sua violazione.

FATTO E DIRITTO:Con la delibera n. 257 del 5 marzo 2012 della Giunta Regionale, la Regione Emilia Romagna, odierna appellante principale, ha bandito il concorso pubblico per esami finalizzato all’ammissione al corso di formazione specifica in Medicina Generale, pianificazione e sviluppo dei servizi sanitari per il triennio 2012-2015.

G., odierno appellante incidentale, si è aggiudicato uno dei posti disponibili e ha frequentato regolarmente il corso presso l’Azienda Sanitaria Locale di Reggio Emilia per la parte teorica e presso l’Azienda Sanitaria Locale di Piacenza per la parte pratica.  Con l’effettivo svolgimento del corso, peraltro, il dott. G. ha beneficiato della borsa di studio prevista dall’art. 17 del D.M. del Ministero della Salute del 7 marzo 2006 per un importo di € 11.603,00 annui (pari a meno di € 800,00 mensili).Giunto al termine del corso, nel novembre del 2015, il dott. G. ha ricevuto dalla Regione Emilia Romagna la determinazione n. 15899 del 16 novembre 2015, con la quale è stato informato, ai sensi degli artt. 7 e 8 della l. n. 241 del 1990, dell’avvio del procedimento volto ad accertare eventuali irregolarità ed incompatibilità con la frequenza del corso suddetto, al fine di adottare ogni eventuale conseguente provvedimento. Al dott. G. infatti – e qui sta il fulcro dell’intera vicenda – non era stata contestata alcuna inidoneità, tale da non consentirne l’accesso alle prove o il superamento delle stesse, ma l’esistenza di una situazione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 11 del D.M. del Ministero della Salute del 7 marzo 2006, per avere svolto una attività lavorativa al di fuori del corso incompatibile con la frequenza a tempo pieno di questo, con conseguente espulsione del medico tirocinante dal corso stesso. La sentenza appellata deve essere in parte qua riformata, dovendosi accogliere il primo motivo dell’appello principale, proposto dalla Regione Emilia Romagna, con assorbimento del secondo motivo (relativo all’applicazione ex officio da parte del T.A.R., e non per vizio ritualmente dedotto in prime cure, dell’art. 4, comma 2-bis, del d.l. n. 115 del 2005), del tutto superfluo ormai, alla luce di dette ragioni, ai fini del decidere. La previsione contestata del D.M. trova un chiaro e razionale fondamento nell’art. 24, comma 2, del d. lgs. n. 368 del 1999, il quale prevede che “il corso di cui al comma 1 comporta un impegno dei partecipanti a tempo pieno con obbligo della frequenza alle attività didattiche teoriche e pratiche, da svolgersi sotto il controllo delle regioni e province autonome e degli enti competenti”.

Quanto al regime di incompatibilità, infatti, “deve considerarsi che la disciplina ordinaria dei corsi di formazione si basa sulle seguenti caratteristiche: (a) numero chiuso dei partecipanti (con un concorso di ammissione); (b) impegno “a tempo pieno” con prestazione anche di attività assistenziale inerente alla formazione; (c) corresponsione di una “borsa di studio”; (d) obbligo di esclusività ossia incompatibilità con ogni altra attività professionale retribuita (vuoi a titolo di lavoro subordinato, vuoi a titolo di libera professione) “ (Cons. St., sez. III, 18 giugno 2012, n. 3549). Ancor più esplicito è, in tal senso, il comma 4 dello stesso art. 24 del d. lgs. n. 368 del 1999, laddove prevede che la formazione a tempo pieno “implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l’intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno”.Di qui non solo la legittimità della medesima deliberazione regionale, oggetto di immediata impugnativa, ma anche del contestato art. 11 del D.M. del Ministero della Salute del 7 marzo 2006 nella misura in cui, valorizzando debitamente la ratio dell’art. 24 del D.lgs. n. 368 del 1999 e il significato della frequentazione a tempo pieno dei corsisti, inibisce al medico in formazione l’esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo ed esclude altresì, durante la frequenza del corso, la contemporanea iscrizione o frequenza a corsi di specializzazione o dottorati di ricerca, anche qualora si consegua tale stato successivamente all’inizio del corso di formazione specifica in medicina generale. La necessità dell’espulsione, connessa alla violazione dell’obbligo sancito dall’art. 11, comma 5, del D.M. citato, priva di qualsivoglia rilevanza, infine, la questione relativa all’eccessivo rigore sanzionatorio e dalla dedotta violazione del principio di proporzionalità per effetto dell’espulsione medesima, provvedimento di carattere vincolato per l’Amministrazione, dovendosi solo qui osservare che l’espulsione non appare misura inappropriata, ma del tutto adeguata alla violazione di un fondamentale obbligo posto a carico dei corsisti, che ben ne conoscono il fondamento, il contenuto e soprattutto la irrimediabile sanzione, in termini di espulsione, a fronte della sua violazione. In conclusione, per le ragioni tutte esposte, l’appello principale della Regione Emilia Romagna deve essere accolto, mentre deve essere respinto l’appello incidentale del dott. G., sicché, in parziale riforma della sentenza impugnata, va respinto integralmente il ricorso proposto in primo grado dal medesimo dott. G.)

Marcello Fontana-Ufficio Legislativo FNOMCeO

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