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Cassazione: MMG e falsità ideologica in atti pubblici

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97Medici di medicina generale: falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Falsa attestazione di schede mensili trasmesse dal medico convenzionato alla ASL con il riepilogo delle visite domiciliari effettuate non rispondenti al vero in vista del conseguimento del compenso (sentenza nr. 47630/14). 



FATTO:  Con sentenza del 28/01/2013 la Corte d’appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede alla Azienda locale della Provincia di Foggia (d’ora innanzi, ASL), I.P. e M.V., cui erano contestati i reati di cui all’art. 81 c.p., comma 2, art. 479 c.p., per avere, quali medici di medicina generale, dichiarato falsamente nelle schede mensili trasmesse alla ASL competente di avere eseguito visite domiciliari mai effettuate, e i reati di cui all’art. 81 c.p., comma 2, art. 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere, con siffatti artifici e raggiri, indotto in errore l’ASL, procurandosi l’ingiusto profitto del compenso per tali visite domiciliari. Sono stati proposti distinti ricorsi nell’interesse dello I. e del M..

 



DIRITTO: La Corte Suprema di Cassazione ha affermato che integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione, contenuta nella relazione finale redatta dal responsabile di un centro di riabilitazione convenzionato, in ordine alle prestazioni sanitarie e ai cicli terapeutici effettuati nei confronti di determinati pazienti, necessaria per il conseguimento dei rispettivi rimborsi da parte del servizio sanitario nazionale. In definitiva, non v’è dubbio che, anche nel caso di specie, è dato individuare una falsa attestazione del medico convenzionato che trasmette elenchi contenenti circostanze non rispondenti al vero in vista del conseguimento del compenso. Va aggiunto, per completezza e con specifico riguardo ad una doglianza svolta dal M., che è certamente a tali elenchi – gli unici trasmessi dai medici alla ASL – che si riferisce il capo di imputazione. Proprio alla stregua di tale prova logica fondata sui documenti, la sentenza impugnata ha aggiunto che erano attendibili le dichiarazioni rese dai pazienti, i quali avevano riferito della falsità delle visite ulteriori – ulteriori, rispetto a quelle la cui mancata esecuzione risultava per tabulas dalla comprovata presenza dei pazienti in luoghi diversi dal proprio domicilio – e ciò anche in ragione del fatto che gli stessi non avevano motivo di rendere dichiarazioni compromettenti nei confronti dei propri sanitari e del fatto che, se essi non avessero ricordato, avrebbero appunto potuto riferire tale circostanza.  

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