Studi di settore anche per i MMG
A decorrere dal 2012, lo studio di settore riservato agli studi medici ha subito un’importante modifica con riguardo all’incidenza dei compensi derivanti da attività in “libera professione” dei medici convenzionati con il SSN, in particolare con riguardo ai MMG.
Il TAR del Lazio,con la sentenza N° 9339 del 3.9.2014, ha respinto il ricorso proposto dalla FIMMG che lamentava l’illegittima applicazione degli studi ai medici di medicina generale in regime di convenzione con il SSN.
Questa e’ l’ennesima dimostrazione che la definizione del ruolo giuridico, fiscale e tributario del MMG e’ una delle cose piu’ impellenti ed importanti da discutere in sede di rinnovo dell’ACN.
IL RICORSO DELLA FIMMG
In primo luogo i rappresentanti della FIMMG ritengono che gli studi di settore non sono applicabili ai medici di medicina generale in quanto “solo fiscalmente” lavoratori autonomi poiché in sostanza l’attività svolta risulta essere regolata interamente dal SSN, tanto da configurare un vero e proprio “lavoro «parasubordinato»” al quale gli studi di settore non risultano applicabili. Infatti, vista la natura vincolata di tale rapporto di lavoro, al medico di medicina generale è preclusa ogni possibilità di occultare compensi, assoggettati a ritenuta alla fonte, per cui “i costi per l’esercizio dell’attività in relazione al volume d’affari e al reddito del professionista non sarebbero significativi nel determinare i compensi percepiti dal medico che svolge attività convenzionata”.
Con riguardo ad una (eventuale) seconda attività svolta privatamente, la FIMMG sottolinea l’esigua incidenza della stessa rispetto a quella esercitata in regime convenzionale, pari allo 0 – 5% del totale dei compensi con conseguente “concreta inutilità della imposizione tributaria”.L’iniquità generata dall’applicazione degli studi di settore risulterebbe inoltre ancora più accentuata dall’“aumento ingiustificato dei ricavi richiesti ai fini della congruità” (anche con riguardo all’attuale congiuntura economica), aumento che si attesterebbe attorno al 9 – 10% rispetto agli anni precedenti.
La Sentenza del TAR del Lazio, n. 9339 del 03/09/2014
Innazitutto i medici di medicina generale, nonostante la “pervasività” che caratterizza il rapporto di lavoro con il SSN, sono comunque liberi professionisti e come tali potenzialmente in grado di percepire, nell’esercizio della loro attività, redditi diversi da quelli corrisposti dal SSN. L’esiguità dei compensi percepiti derivanti dalla seconda attività non esclude l’applicazione degli studi, anche laddove quanto percepito dal SSN concorresse per il 90% alla formazione del reddito totale di tali soggetti. Vista tale possibilità, per i Giudici gli studi di settore risultano applicabili con riguardo alla quota di compensi eventualmente percepita nell’ambito della “seconda” attività. I medici di medicina generale sono legati al SSN tramite accordi stipulati a livello nazionale che ne regolano i rapporti, le funzioni e i compiti ma rimangono liberi professionisti; tale natura “ibrida” è espressamente regolata dal principio contenuto nell’art. 4, comma 9, Legge n. 412/91 in base al quale l’attività di libero professionista deve essere definita nell’ambito della convenzione, al fine di evitare un eventuale pregiudizio all’attività svolta in regime convenzionale. Infatti “l’applicazione per la restante parte del meccanismo degli studi di settore” appare legittima “posto che essi non dipendono dalla quota di provenienza dei redditi, ma dalla natura di lavoratori autonomi dei medici del S.S.N.”.
Con riguardo ai “timori della associazione ricorrente” relativi alla natura degli studi, il TAR, confortato dalla giurisprudenza consolidata, evidenzia la natura di presunzione semplice propria degli studi la quale garantisce che “in assenza di ulteriori elementi assunti dall’ufficio per suffragare la pretesa, gli studi non possono da soli integrare la prova dell’evasione”. Per il TAR quindi le argomentazioni proposte dalla FIMMG non consentono di escludere i professionisti in esame da tale strumento di controllo in ragione del fatto che “l’interesse pubblico all’individuazione dei contribuenti infedeli e delle fonti di reddito sottratte all’imposizione tributaria, appare prevalente rispetto alle difficoltà lamentate derivanti dall’applicazione dell’istituto in esame anche ai medici di medicina generale”.
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