C’era una volta il ricettario bianco
Un po’ di romanticismo e un po’ di sarcasmo sul modo di ricettare nel tempo.
(Dr. Costantino Kosta Simonelli)
Sì, c’era una volta il ricettario bianco e il medico che prescriveva nel candore d’ un ricettario bianco, profumato di appena stampato con le proprie referenze in tipografia. E profumava come profuma il pane appena sfornato. Il ricettario bianco, luogo, unico per tutta la genìa dei seguaci degni o meno d’Esculapio, il ricettario bianco dove avveniva la sintesi scritta del pensato, riflettuto, ragionato, ruminato, a volte,della sua scienza nei confrontidel problema (malattia) e del malato (oggesù, diciamo persona).
E, alla fin fine, spesso con dovizie di particolari, anche pedanti talora, ma perché tutti potessero capire ed applicare, si stilava il rimedio; fosse questo un medicinale o una prescrizione di igiene di vita, o quant’altro, allora, a torto o a ragione, sembrava potesse lenire il male. Il ricettario bianco che quelli come me, oggi almeno alla soglia dei sessanta, ricordano come un fugace ultimo assaggio d’una medicina che ormai è forse troppo lontana nel tempo. Come forse lo ricorda anche il vecchio farmacista la cui grande abilità era allora consistente in due cose: preparare per bene prodotti galenici e soprattutto interpretare con quasi certezza talune calligrafie non proprio virtuose. Ma, allora, noi medici eravamo più pochi, e i farmaci , di meno ancora. E le ricette, le bianche ricette erano lungi dall’essere così tante da auto svalutarsi, come fa un paese in default che stampa cartamoneta a iosa senza alle sue spalle la riserva aurea che glielo consenta. No, il ricettario bianco, per tanto tempo è stato un documento “sacrale” e un po’ la carta d’identità del medico.
Poi, piano piano, intorno alla fine degli anni sessanta, quel ricettario bianco ha cominciato ad ospitare prescrizioni un po’ più sciatte, più routinarie, di comodo e di mestiere. Ha seguito un po’ il segno dei tempi e della politica del paese, populista e scialacquona anziché no, del troppo, o tutto a tutti e anche di più. D’altra parte era il boom economico della cinquecento a tutti, magari a rate. E della Fulvia e altro solo sempre per pochi.
E allora, anche il ricettario bianco, in quest’atmosfera di benessere per tutti, nei tempi delle casse mutue ad accaparrarsi, noi medici, più visite notulate e più clienti, il nostro nobile ricettario bianco ha cominciato ad ospitare Citrosodine elargite dallo Stato come fossero il concorrente più agguerrito del ben noto Citrato Brioschi o lo sciroppo per la tosse, a farne bottiglioni da riserva d’annata, consumato a mo’ di liquoretto fatto in casa da accompagnare al dessert.
Un po’ d’anni di queste situazioni e… ohibò, qualcuno colà dove si puote (ma non sempre si vuole) si pose il problema dell’eccessiva spesa sanitaria. Parliamo sempre e soltanto di farmaceutica, intesa come spesa, addebitata sempre solo e soltanto a quelli che intanto, erano diventati, con la riforma sanitaria, i medici di base. Questo strabismo storico, lo premetto subito, per noi medici di base è il problema. Ma non è il Problema. E’ che l’occhio strabico, quello storto dei due, negli anni, è finito sempre per rivolgersi soprattutto a noi, terminali, effettori, spesso non tutelati, se non addirittura indifesi, d’un sistema complessivo che si è andato viepiù deteriorando a monte. Ma a monte, l’occhio dritto, quello buono pare essere stato sempre più mansueto nelle decisioni, talora solo semiaperto o quasi cieco..Perché? E il perché si divide in tanti perché. Come le possibili risposte.
Una è che con noi i conti di cassa sono facili come quelli della massaia, specie adesso che solo noi, sempre solo noi, siamo l’unica categoria praticamente costretta alla totale informatizzazione, per cui ogni fiato di dato di spesa viene registrato, vagliato, giudicato e anche passibile di provvedimenti “ad personam”. Un’altra , colpa nostra, è che, da cervelli in assoluta autogestione e libertà, talora male compresa e male usata, la nostra unità sindacale è molto più aleatoria che in altre categorie della stessa nostra professione. E poi una terza, che sembra come un’ aria che si respira dovunque in questa nostra Italia sempre più malandata e che suona come le ormai profetiche parole di gattopardiana memoria: che di legislatura in legislatura, di governo in governo ogni pinco pallino di turno, anche quello con le migliori intenzioni, finisce per provare a cambiare tutto per non cambiare niente.
E, tornando a bombetta – per carità rispetto a tante altre drammatiche precarietà di noi italiani, mi vergognerei a dire che le nostre questioni di categoria siano essenziali, ma se servono a far luce, spero, su metodi impropri di legiferare, forse tassellano prese di coscienza più generali. Dicevo,tornando a bombetta, il nostro candore prescrittivo, selvaggio? soltanto libero?, non lo so, so solo che nel corso degli anni è stato sempre di più incasellato in schemi ,obblighi burocratici, talora di pertinenze strettamente da commercialista. E questo non con la cadenza fisiologica della naturale evoluzione legislativa., no, a ritmo di corsa, una rincorsa a perdifiato, coi tempi dettati dal ministero della salute e con norme che si sovrappongono e spesso si contrastano con i decreti regionali che arrivano con cadenza non dico settimanale, ma sicuramente mensile o, tutt’ al più trimestrale.
E dopo questa rincorsa, se ti fermi un’ attimo alla fine d’una serata del tuo normale ambulatorio a riflettere, ti viene proditoria, cioè ti colpisce quasi alle spalle una domanda: “ma quanto tempo ho perso, hanno rubato alla mia professione, mettendo esenzioni e riempiendo caselle, modificando il computer, chiedendo lumi al server del mio programma, che è grande, grandissimo amico, talora impareggiabile negli aggiornamenti, ma non ce la fa neppure lui a seguire questa logorrea legislativa sulla sanità.
E poi un pensiero appena più nobile. Ma perché dire nobile,direi di doveroso inevaso:. ma in questo gioco alla slot machine della ricetta burocraticamente perfetta, quanto tempo e possibilità di ascolto e visita avrò tolto al mio amico e , in fin dei conti datore di vero lavoro, paziente malato?
Io dal 1981 ho cambiato quattro tipi di ricettario nel corso della mia professione. E ventine di modi di compilare una ricetta.
Adesso arriva il decreto 11 bis della “spending rewiew”. Che rispetto socraticamente come ogni legge del mio Stato..Anche la massaia forse capisce che a cordoni stretti di borsa il sistema sanitario nazionale farà l’ennesimo buco nell’acqua, ridurrà l’appetibilità delle imprese farmaceutiche griffate almeno a tenere vivo il mercato italiano del farmaco, ridurrà quelle poche imprese farmaceutiche italiane che investono nella ricerca, costringerà a comunicazioni non esattamente persuasive noi medici a cambiare nome di farmaco ai nostri pazienti, col disagio loro dell’apprendistato e neppure la nostra sincera sicurezza che stiamo facendo la cosa giusta (con la legislazione italiana sui generici molto permissiva, fosse tutto veramente non uguale , ma almeno veramente equivalente.). E, in ultimo, consentitemelo, si sarà contenti di aver fatto, di quell’occhio strabico, un occhio vendicativo e vendicatore.
Perché noi medici di famiglia, passate generazioni ormai, pure sembra si abbia da pagare, un peccato originale.
Per quelli nei posti molto in alto dove,evidentemente, albergano perseveranti i luoghi comuni, noi medici di famiglia continuiamo ad essere sempre dei maledetti comparaggioni e “citrosodinari”
Certo, non ci possono ghigliottinare, questo no. Ma torturarci, sì. In modo lento lento, ogni giorno, col microtomo.
Lascia un commento